La sua figura è sempre di più la figura di un’artista americano, imprenditore, impegnato su più livelli, che investe tempo, faccia e denaro in qualcosa che esuli il coinvolgimento artistico. Da cosa nasce la sua voglia di espandersi, di provare strade nuove?
«Nasce dagli incontri, conoscere qualcuno che mi fa capire che la nostra amicizia può generare qualcosa di bello, condividere una visione comune. Come con Claudio Cuccu e il Further, lo è stato anche per Sant’Isidoro, per il gin che ho creato insieme a Guido Brera. Questo scambio diventa un gioco, migliora la mia persona e mi consente di pensare ad altro. C’è stato un momento in cui sentivo di esistere solo quando ero sul set, poi ho capito che oltre al grande regalo che la vita mi ha fatto di fare questo mestiere, la mia vita è bellissima proprio al di fuori del lavoro, fatta di persone che amo, che ho incontrato e continuo ad incontrare, e che fanno di questo percorso sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Non sono mai stato uno da zone di comfort, mi piace spingermi oltre e nelle pause mi dedico a tutte queste cose, prendendole come un’occasione per crescere».
Non sarà anche paura la sua, proprio di fermarsi?
«Non direi paura, in passato ho pensato che quello che stavo facendo fosse importante, invece va preso come un semplice lavoro! Certo, sono fortunato, perché mi ha dato la fama e un ottimo stipendio, ma rimane un lavoro, qualcosa che implica un processo creativo, lo si deve fare nella misura giusta, senza pensare che cambierà le sorti del cinema. Mi capitava di vedere il mio ego crescere quando facevo un red carpet e c’erano tante persone che gridavano il mio nome. Tornavo a casa pieno di questa cosa, poi ho capito come misurarlo, ne devi essere felice, perché è una cosa bella, e poi dimenticare la sensazione, altrimenti rischi di credere davvero di avere un’importanza che non hai. La normalizzazione è la mia più grande necessità».