Intervista ad Alessandro Borghi

"Emozioni al di là del set"

di Sonia Serafini

 

Non solo cinema nella vita di Alessandro Borghi. L’attore, reduce dal successo di “Le otto montagne” e “Delta”, ha legato il suo nome anche ad un avveniristico progetto: Further, una nuova idea di hospitality che Borghi ha contribuito a plasmare sull’isola di Bali. Attraverso le sue parole, ne ripercorriamo la genesi e l’evoluzione.

 

Immaginate una navicella spaziale di terracotta immersa nel paesaggio di una delle zone più belle di Bali, tra il verde incontaminato delle distese di piante e vegetazione tropicale, le stradine che si snodano tra negozi, bar e locali tutti diretti alla spiaggia. Questa opera futuristica è il Further Hotel, situato sulla costa sud-occidentale dell’isola, precisamente vicino alla località balneare di Pererenan a Canggu, una zona in via di sviluppo che cerca, nonostante il progresso, di mantenere le proprie tradizioni e il rispetto del territorio.

 

E proprio sulla base del rispetto e del dialogo tra ambiente e comunità che Further è stato creato. Progettato dallo studio MORQ e partito dall’idea dell’imprenditore Claudio Cuccu che vive a Bali da 20 anni, al progetto oltre ad altri soci, si è unito anche l’attore Alessandro Borghi, testimonial nonché partner dell’impresa, ambiziosa e futuristica, una struttura completamente in dialogo con il territorio che occupa. 11 suite, una piscina, un ristorante, aree dedicate al benessere, negozi dedicati al surf: l’idea è quella di un hotel diffuso, che si disloca in più zone del villaggio, con un bar a 200 metri in una direzione e uno shop in un’altra per far sì che l’ospite abbia l’occasione di esplorare, di entrare in contatto con il luogo in cui si trova, avere l’opportunità di scoprire cosa lo aspetta. Un’opera che riavvicini chi si reca a Bali in vacanza e chi vive sull’isola.

 

Soggiornare al Further è una vera e propria esperienza. L’ospite si immerge in una realtà di luci e ombre studiate per il proprio benessere, in una stanza di design dotata di tutti i comfort, dove nulla è lasciato al caso e organizzato per sorprendere. La suite si presenta con un letto al centro della stanza perfettamente incastonato al pavimento, quasi a diventarne parte integrante; alle spalle, una parete a vista, e grazie ad un gioco di porte scorrevoli si accede al bagno che richiama i colori della stanza e della struttura, in marmo grezzo, con una zona doccia situata nel corridoio affacciata direttamente sulla strada perfettamente incastonata tra i ciottoli di terracotta dell’esterno che tutelano la privacy dell’ospite come le pareti insonorizzate di vetro.

 

Nulla è una casualità, eppure nulla sembra avere la presunzione di farlo notare, come dichiara lo stesso Cuccu: «Abbiamo scelto tutti materiali e risorse dell’isola. Tutto quello che trovate nella stanza è stato creato da noi: i saponi, le essenze, le sedute, i tavolini, i tessuti, ideando un brand che si chiama Object, che racchiude tutti di gli interni. Volevamo cercare di dare un’ulteriore attenzione al dettaglio, senza farlo notare, con amore, sempre coinvolgendo il territorio e tutti le piccole aziende locali». 

 

È come una matrioska, dove aperta una porta si trova subito qualcos’altro da scoprire. Alessandro Borghi, impegnato sul set del nuovo film di Gianni Amelio ambientato al nord, sulle montagne che tanto ama, ci parla del suo coinvolgimento nel progetto, in un anno pieno di soddisfazioni lavorative e personali. Scopriamo la sua passione per le cose concrete, per la manualità, per quel qualcosa che lo tenga attaccato alla realtà, che gli dia una dimensione più vicina a se stesso. Per questo Borghi è diventato socio di moltissime realtà, la pizzeria gourmet Sant’Isidoro, il ristornate di sushi Coffe Pot e l’ambizioso progetto del Further. Mai fermo, sempre spinto dalla curiosità genuina di voler conoscere realtà e persone.

La sua figura è sempre di più la figura di un’artista americano, imprenditore, impegnato su più livelli, che investe tempo, faccia e denaro in qualcosa che esuli il coinvolgimento artistico. Da cosa nasce la sua voglia di espandersi, di provare strade nuove?

«Nasce dagli incontri, conoscere qualcuno che mi fa capire che la nostra amicizia può generare qualcosa di bello, condividere una visione comune. Come con Claudio Cuccu e il Further, lo è stato anche per Sant’Isidoro, per il gin che ho creato insieme a Guido Brera. Questo scambio diventa un gioco, migliora la mia persona e mi consente di pensare ad altro. C’è stato un momento in cui sentivo di esistere solo quando ero sul set, poi ho capito che oltre al grande regalo che la vita mi ha fatto di fare questo mestiere, la mia vita è bellissima proprio al di fuori del lavoro, fatta di persone che amo, che ho incontrato e continuo ad incontrare, e che fanno di questo percorso sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Non sono mai stato uno da zone di comfort, mi piace spingermi oltre e nelle pause mi dedico a tutte queste cose, prendendole come un’occasione per crescere».

 

Non sarà anche paura la sua, proprio di fermarsi?

«Non direi paura, in passato ho pensato che quello che stavo facendo fosse importante, invece va preso come un semplice lavoro! Certo, sono fortunato, perché mi ha dato la fama e un ottimo stipendio, ma rimane un lavoro, qualcosa che implica un processo creativo, lo si deve fare nella misura giusta, senza pensare che cambierà le sorti del cinema. Mi capitava di vedere il mio ego crescere quando facevo un red carpet e c’erano tante persone che gridavano il mio nome. Tornavo a casa pieno di questa cosa, poi ho capito come misurarlo, ne devi essere felice, perché è una cosa bella, e poi dimenticare la sensazione, altrimenti rischi di credere davvero di avere un’importanza che non hai. La normalizzazione è la mia più grande necessità».

 

 

Ha fatto molta introspezione.

«Molto spesso pensiamo di aver trovato la verità e quando lo facciamo vogliamo condividere i nostri insegnamenti. C’è un giovane attore al quale sono molto legato che è Saul Nanni, ha talento e bellezza che sono straordinariamente proporzionate alla sua educazione, e in qualche modo mi ricorda il me ragazzo. Quando parlo con lui sembra quasi che gli voglia svelare il segreto della felicità, poi ci penso e gli dico che sono tutte stupidaggini, che quella è la mia verità e che lui troverà la sua. Ognuno deve trovare la propria dimensione».


 

 

Si è mai sentito schiacciato da questo mondo?

«Ho vissuto molti momenti altalena, in cui sali e scendi emotivamente. Spesso quando esprimevo un’opinione e veniva strumentalizzata, avvertivo l’urgenza di dover chiarire, di spiegare, ora ho la consapevolezza che la cosa importante è avere a cuore l’opinione di chi mi ama, non posso controllare cosa pensa la gente che mi segue».

 

 

Potrei definirla “un manovale del cinema italiano” a cui piace sporcarsi le mani, fare cose concrete, reali.

«(ride, NdR) Qualche giorno fa ho letto una cosa molto giusta che riguarda l’assumerci la responsabilità di insegnare ad altri come comportarsi. Ecco, invece di fare questo, dovremmo imparare la maniera di migliorare noi stessi per essere d’esempio. Non avere l’ansia di voler sistemare sempre tutto, le cose vanno anche prese per quello che sono. La difficoltà è che la linea di confine tra ciò che farci scivolare addosso e quelle di cui dovremmo occuparci è una linea che cambia di continuo e che ci costringe ad un adattamento, che avviene solo se noi decidiamo di approfondire».

 

 

 

Further ha un design preciso, consapevole. Lei cosa ha apportato a questo progetto?

«Mi prendo il merito di aver pensato allo studio MORQ e averli presentati ai nostri architetti, perché sono semplicemente geniali. Ero sicuro che avrebbero trovato il modo di trasformare l’idea di Claudio, la sua visione, ovvero quella di un posto dove possono entrare tutti i tipi di persone, da quelli che fanno surf, agli avvocati in giacca e cravatta. Claudio ha fatto della sua libertà la sua forza, è un uomo che ha saputo adattarsi al cambiamento, ha il dono di unire persone diversissime tra loro. Abbiamo soci da talmente tante parti differenti del mondo che quando ci riuniamo non si sa bene che lingua parlare. Volevamo realizzare un posto dove la gente fosse felice di andare, curato con le piccole cose che ti fanno sentire coccolato, con le attenzioni e la consapevolezza che sono state fatte per te. Per esempio Simon, uno dei nostri soci, si è domandato per tantissimo quali titoli di vinili andassero messi a disposizione nelle stanze, perché era importante. Il segreto è tutto qui, lo scambio continuo di idee e prospettive».

 

 

Cosa non volevate fare?

«Girovagando per Bali abbiamo visto un cantiere con un blocco di cemento commissionato da un imprenditore russo, lì ci siamo ripromessi che non avremmo mai fatto una cosa del genere. La fortuna di quei luoghi sono le persone che ancora si muovono in ciabatte sul motorino, che sono libere, e noi volevamo costruire una cosa che suscitasse curiosità rispetto al modo in cui è stata inglobata nel territorio. Nulla è stato lasciato al caso, come la scelta materica del rivestimento, perché volevamo connetterci anche ai colori di Bali, come le sfumature del tramonto che fanno cambiare la facciata di Further. Sembra fatto di terra, un posto incredibile nato da una semplice chiacchierata sulla spiaggia».

 

 

 

 

Non crede che costruire qualcosa con qualcuno sia una specie di atto d’amore? E che si avvicini al cinema in questo?

«Nel cinema penso di poter dare un contributo con la mia professione. Nel vedere un progetto come Further prendere vita, invece, il mio contributo è di presenza e ascolto. L’andare a cercare un’altra verità, un punto di vista differente, mi ha portato ad investire così lontano».

 

C’è un luogo che le piacerebbe esplorare attraverso l’investimento?

«Ho il grande desiderio di aprire un locale a Londra, che è una delle città che più mi ha fatto capire quanto fossimo indietro nel nostro paese. Un posto complicatissimo, che pretende molto da chi lo vive, ma al tempo stesso ha uno sguardo continuo verso il futuro. Noi siamo ancorati troppo al passato. Mi piacerebbe quel tipo di sfida, acquisire quel punto di vista così diverso».

 

 

Cos’è il lusso per lei?

«Il lusso è la cura che le persone mettono nell’ospitalità. Quando ci troviamo a pagare una camera più di un’altra, sicuramente è perché è più bella, ma anche perché ci sono più persone qualificate che si prendono cura di te in una determinata maniera. Quando abbiamo dato vita a Further ci siamo posti tanti di questi interrogativi, come sulla colazione, o sul mettere o meno la TV in camera, sul come poter rendere quell’esperienza più indimenticabile possibile, riuscire a farlo in una stanza di 30mq poi è una vittoria».

 

 

 

 

Questo suo impegnarsi, nel cinema come nei progetti di imprenditoria, non sarà un modo per combattere la nostalgia?

«Tanto è inutile, non ce la faccio, sarà l’unica cosa che non riuscirò mai a combattere. Devo farci pace, io ho un problema con il tempo che passa. Nonostante la mia compagna Irene mi aiuti a cambiare punto di vista dicendo che in realtà sto solo collezionando nuovi ricordi, dopo due, tre giorni di pace, torno a pensarci».

 

 

Anche il suo impegno nella serie Supersex (dove interpreta Rocco Siffredi) che vedremo su Netflix nel 2024, sarà un incontro che le provocherà nostalgia?

«Rocco è stato un grande incontro nella mia vita, gli voglio molto bene, mi ha mostrato tutto di lui, anche i suoi lati più vulnerabili. La serie è capitata in un momento in cui era pronto a raccontarsi con sincerità e libertà, mettendosi anche in discussione. È stata un’esperienza importante per me anche perché era la prima volta che interpretavo qualcuno che poi la sera mi telefonava, e questo mi faceva riflettere, chiedermi “avrò fatto un buon lavoro? sarà contento di ciò che vedrà?“. Spero di sì, l’ho fatto con amore. Comprendo però che la tematica sia delicata e le persone piene di preconcetti, ma noi abbiamo voluto mostrare la nostra storia, quella di un essere umano che, a prescindere da tutto, è la persona Italiana più famosa al mondo».

 

 

 

 

 

Come lo sa?

«Ero al MetGala con Francesco Carrozzini (uno dei registi della serie) e mentre parlavo con Naomi Campbell, si è avvicinato Kendrick Lamar dicendo che sapeva perfettamente chi fosse Rocco Siffredi. In quel momento ho avuto la percezione di cosa stessi facendo, mi è stata chiara la proporzione, l’importanza».

 

 

Avrebbe accettato senza conoscere personalmente Rocco Siffredi?

«No, non sarebbe stato possibile. A questa serie serviva lo sguardo di Rocco, anche per bilanciarsi all’interno di una narrazione romanzata volta all’intrattenimento, che la sapiente scrittura di Francesca Manieri ha riposto nella sceneggiatura. È un prodotto profondo su una persona che nasce ad Ortona e diventa il più famoso al mondo nel fare il suo lavoro, in un ambito che in una serie di paesi, per una serie di motivi, è ancora un tabù».

 

 

Un’ultima cosa. Cosa significa per lei Further?

«Cercare di avere sempre lo sguardo in avanti rispetto a quello visto fino ad adesso».