Intervista allo Chef Francesco Panella

"Dedizione e costanza, un DNA vincente"

di Sonia Serafini

 

Imprenditore, ristoratore, presentatore TV: Francesco Panella, proprietario del famoso Antica Pesa e volto di Little Big Italy, si racconta a tutto tondo parlando di entusiasmo, delle regole per una vita piena e di come innovazione e ascolto siano gli alleati giusti per un’azienda sana. Ci chiede di anticipare l’intervista di mezz’ora, in questo modo “posso aggiungere un’altra cosa da fare alla mia giornata”, come se non avesse già un altro milione di cose da spuntare dalla lista prima di andare a letto. Una nuova stagione televisiva da girare che lo porterà in Asia, fuori dall’Italia, per un mese, tre ristoranti da curare (Antica Pesa Roma, Antica Pesa Brooklyn, Antica Pesa Doha), il nuovo progetto di fast quality food Quintalino e l’estate che si avvicina con l’apertura dell’hotel & Spa Des Pecheurs.

 

La stanchezza la sente mai?

«Dipende cosa intendi per stanchezza. Io mi preparo per non essere stanco. Cerco di strutturare il tempo di qualità nella maniera che ritengo più giusta per me. Dormo quanto basta, sto attentissimo a quello che mangio, il mio lavoro mi porta ad avere un livello di stress importante da quel punto di vista, di conseguenza mangiare sano è fondamentale. Da poco, poi, ho scoperto che da tutta la vita faccio il digiuno intermittente e non lo sapevo. Io l’ho sempre chiamata “la dieta del ristoratore”, ovvero cenare alle 18.30 prima del servizio e poi rimangiare direttamente il giorno dopo!»

Una giornata ben schedulata.

«Per forza! Mi sveglio prestissimo, con lo stomaco a riposo da 13 ore, allenamento intensivo e doccia fredda, rigorosamente fredda. A quel punto ti senti come un supereroe, lo stress se ne va e ho una batteria carica per tutto il giorno».

 

Sembra facile da come la mette lei.

«Lo è se lo decidi, ma la cosa più importante è ciò che scegli di fare con il tempo. Se ti concentri sulle cose che ti fanno stare bene, avrai energia positiva a disposizione. Esercitarsi mentalmente e fisicamente, uscire dalla comfort zone e togliere le certezze che ti appiattiscono. Rimettersi in gioco quotidianamente ti fa essere vivo, felice, perché devi ricordarti di essere fortunato. Io amo aggiungere vita alla vita, più ne metti meglio è!»

 

È questa la “formula” per un’azienda di successo?

«Diciamo che le aziende di oggi devono avere tutti i parametri allineati, dalla confezione del prodotto alla divulgazione, fino alla distribuzione e la comunicazione. Bisogna pensare che la ristorazione ormai è una vera e propria industria e si muove con criteri di competitività».

In Antica Pesa siete tre fratelli con tre ruoli ben definiti. Quanto è importante sapere qual è la propria specializzazione e il non voler fare tutto a tutti i costi?

«È fondamentale. La definizione dei ruoli e l’intelligenza di saper analizzare il proprio talento all’interno della propria attività è basilare per andare avanti. Devi comprendere come migliorare la vita aziendale, sapere leggere i cambiamenti. Ma soprattutto non abituarsi, altrimenti ci lasciamo andare alla routine, invece bisogna andare oltre, sempre».

 

Passione?

«Una volta che senti di essere “arrivato” non vai più da nessuna parte, ma non è la passione che serve. Certo, fa parte della di vita, hai passione perché sei felice di fare una cosa, ma quando ti capitano i giorni storti – e ce ne sono, fidatevi – la passione non ti aiuta, è una sciocchezza! La passione non ce l’hai in quei giorni, quando non va tutto bene. Non succede neanche nelle favole, figuriamoci nella vita. Due sono le cose fondamentali per me: la dedizione e la costanza. È faticoso essere dedito a qualcosa tutti i giorni, ma se la unisci alla costanza hai la chiave di un successo duraturo. Io analizzo la mia azienda, che ha 104 anni, costantemente, penso alle sfide dei miei nonni e mi sento fortunato».

I suoi ristoranti hanno una caratteristica: riescono ad emanare sempre una sensazione familiare, di casa. Come si riesce a stare al passo con i tempi senza snaturarsi?

«Devi saper ascoltare, unire l’innovazione alla tradizione, capire chi è più bravo di te, avere l’intuito di riconoscere questo per migliorarti. Esercitarsi nel mettersi in gioco. Soprattutto, però, stare a sentire le idee che vengono dai giovani. Grazie alla mia collaborazione con atenei come la Luiss Business School e la Cattolica di Milano, riesco sempre a mettermi in relazione con i ragazzi, mi arricchiscono di spunti interessanti».

 

Quanta competizione c’è nel suo ambiente?

«Molta, ma se è sana fa crescere, quindi ben venga. Al contrario, nei tavoli di chi sparla è meglio alzarsi subito, tanto lo faranno comunque. Onestamente mi basta fare il mio».

 

Però la vediamo sui social sponsorizzare spesso i ristoranti degli amici. Lei è un altruista.

«Certo! Secondo me se non diamo, non riceviamo. In più non credo nell’egoismo ma, al contrario, nell’aiuto. Quindi che male c’è?».

Abbiamo l’impressione che le piacciano le sfide. Anche l’apertura di Quintalino lo è stata?

«In realtà ho analizzato cosa mangiano i miei figli, ho studiato il mercato e ho pensato che ci fosse spazio per un prodotto di qualità a prezzo sostenibile, un fast quality food. Lo abbiamo fatto con prodotti di alto livello, tutti i processi di lavorazione della carne sono studiati ad hoc per ottenere il meglio dal prodotto, ottimizzando i tagli e riducendo sprechi. Ho coinvolto alcuni amici come la famiglia De Rosa Moretti, Alessandro Cattelan come direttore artistico e i prodotti di Dario Cecchini che è un professionista incredibile nel suo settore. Ho sentito un clima di idee giusto e il progetto ha preso forma. Abbiamo scelto Milano come location, che è la città per antonomasia del cibo veloce ma buono. Le cose stanno andando bene e speriamo di aprire nuovi punti quanto prima».

La aiuta come imprenditore girare nelle cucine degli altri?

«Assolutamente! La mia esperienza imprenditoriale è arricchita dal viaggio. Poter assorbire punti di vista diversi, capire e vedere come si muovono le persone competenti, arricchisce il tuo sguardo. Il mio palato ha avuto la fortuna di assaggiare cibi e consistenze in tutto il mondo. Sento di avere un bagaglio di esperienza infinito».

 

Nel suo rigore alimentare però se deve concedersi uno sgarro a cosa ricorre?

«Alle magic four: carbonara, cacio e pepe, amatriciana e gricia!»

 

Uno dei suoi figli, Pietro, ha deciso di seguire le sue orme formandosi nella ristorazione. Che consigli gli sta dando?

«Gli ho consigliato di andare a fare esperienze fuori e di portare poi cose nuove nell’azienda di famiglia. È questo il modo per entrare a farne parte. Vorrei che capisse che ciò che ottieni è direttamente proporzionato alla fatica che investi per ottenerlo, altrimenti non farai mai la differenza. Mi sta dando delle soddisfazioni incredibili, sono orgoglioso di tutti i miei figli»

Gli insegna anche come vivere le sconfitte?

«C’è una leggenda intorno al modo di dire “ci si rialza dopo ogni sconfitta più forti”: per me bisogna lavorare per non averne, non per rialzarsi. Io non voglio ricadere mille volte! Il fallimento a volte nasce da una base non solida, studiare il business in maniera approfondito può aiutare a diminuire le possibilità. Poi la verità è che quando vivi un fallimento fa veramente male, altroché, vuoi imparare per forza a non rivivere l’esperienza».

 

Cos’è il lusso per lei?

«Il tempo che hai per te, che puoi dedicare a te stesso, sapere dire di no è molto difficile a volte. Ritagliare dei momenti per analizzarsi a conoscersi, quando hai la capacità di uscire da solo e tornare felice perché hai passato una bella giornata allora hai vinto».