
Quanto è stimolante per un attore interpretare qualcuno tanto lontano da sé?
«È affascinante. È un’occasione di ricerca personale che altrimenti non faresti mai. Ti arricchisce. Anche se non te ne rendi conto subito. Le riflessioni arrivano dopo, a bocce ferme».
Quindi è un po’ terapeutico?
«La terapia è una cosa seria. Gli attori fanno uno studio psicologico del personaggio in maniera diversa. Però sì, a volte ti risuona qualcosa dentro, sta a te decidere se ascoltarlo o far finta di niente».
E lei ascolta?
«Forse prima facevo un po’ finta di niente. Ora vado a cercarle, quelle cose. C’è un piacere in questo. Si chiama maturare, no?»