Intervista a Matteo Martari

di Sonia Serafini

 

Matteo Martari è uno di quegli attori che, pur attraversando generi, epoche e ruoli diversissimi, riesce sempre a conservare una verità autentica sullo schermo. Che si tratti del tormentato Alberto Ferraris in “Cuori” (RAI) o del controverso Massimo in “Maschi veri” (Netflix), Martari si muove con disinvoltura tra fragilità, intensità e profondità psicologica. È corteggiato dalle case di moda più autorevoli, grazie anche al suo passato da modello, ma per lui il vero lusso è avere tempo libero. Nel nostro incontro ci racconta cosa significa interpretare un personaggio distante da sé, la sua visione della mascolinità, il rapporto con la bellezza e la ricerca personale attraverso il lavoro. Ma ci parla anche di montagna, di età che avanza (ma solo sulla carta) e del piacere autentico della condivisione. Un dialogo sincero tra riflessione e ironia, dove emerge il ritratto di un uomo curioso e per niente disposto a prendersi seriamente.

 

Partiamo da una provocazione: il suo personaggio in “Maschi veri” è una persona orribile.

«In che senso è orribile?»

 

Nel senso che è una persona orribile.

«È sicuramente un uomo che deve rivedere diverse cose, sono d’accordo. Però ecco, posso permettermi di giudicarlo solo ora. Quando lo interpretavo no, non potevo. Avrei rischiato di perdere aderenza con lui, di non essere credibile».

 

Ma ora che glielo fanno notare?

«È un maschio al quale viene tolta un’identità. O meglio, quell’identità sociale che gli altri ti attribuiscono. Quando perde il lavoro, perde anche sé stesso. È una crisi profonda».

Quanto è stimolante per un attore interpretare qualcuno tanto lontano da sé?

«È affascinante. È un’occasione di ricerca personale che altrimenti non faresti mai. Ti arricchisce. Anche se non te ne rendi conto subito. Le riflessioni arrivano dopo, a bocce ferme».

 

Quindi è un po’ terapeutico?

«La terapia è una cosa seria. Gli attori fanno uno studio psicologico del personaggio in maniera diversa. Però sì, a volte ti risuona qualcosa dentro, sta a te decidere se ascoltarlo o far finta di niente».

 

E lei ascolta?

«Forse prima facevo un po’ finta di niente. Ora vado a cercarle, quelle cose. C’è un piacere in questo. Si chiama maturare, no?»

Quaranta. O quarantuno. O quasi quarantadue… importa?

«Esatto. È solo un numero. Servono per compilare i documenti. Ma la crescita non è legata all’età. È diversa per ognuno di noi».

 

E in una società che rincorre l’eterna giovinezza?

«Bisogna accettarsi. Non solo esteticamente. Perché magari uno si conserva benissimo, ma non ha nulla da dire. Il vero valore è quello».

 

Parlando di bellezza, una volta un fotografo ha detto di lei: “la camera lo ama”. Come vive questa cosa?

«Con distacco. Accetto i complimenti, ma non li riconosco. Non rientro nei miei canoni di bellezza. Se metti una mia foto in mezzo ad altre dieci, non mi sceglierei».

 

Sul serio? Quindi lei non si considera un bell’uomo?

«No. Ho un corpo funzionale, questo sì. Posso sciare, arrampicare, fare sport. Questo è quello che conta per me».

 

E allora chi è per lei un bell’uomo?

«Vincent Cassel, oppure Adrien Brody. Ha un fascino pazzesco».

 

La bellezza è anche fascino, in fondo.

«Sì. E comunque è soggettiva. Rimane una cosa personale»

Torniamo a quello che la fa stare bene: la montagna. Cosa rappresenta per lei?

«È il mio elemento. È un richiamo fortissimo. Qualcosa di ancestrale. Mi dà equilibrio. E se hai un corpo che funziona, puoi viverla a pieno».

 

Ha mai pensato di raccontarla attraverso il cinema?

«Ho partecipato ad un provino una volta, ma il progetto è fallito prima di poterlo prendere in considerazione. Girare in montagna è difficile, capisci più le complessità che il piacere. E io per il momento non ho ambizioni registiche, preferisco godermela per il piacere di farlo».

 

Parliamo di mascolinità. Cos’è per lei un “maschio vero”?

«Ho fatto una ricerca sull’etimologia della parola, maschio vero significa “uomo che ha scelto di pensare”. Credo sia bellissimo, rappresenta esattamente l’opposto di quello che pensiamo oggi. Non “l’uomo che non deve chiedere mai”, ma l’uomo che si fa domande».

 

Ha anticipato la mia domanda sulla bellezza. Cosa significa per lei cercarla ogni giorno?

«È culturale, prima di tutto. A me è stata insegnata dai miei genitori. Ma ora sto capendo che la vera bellezza è nella condivisione. Prendi una cosa bella e condividila con qualcuno che stimi, ami, ammiri. Diventa ancora più bella».

 

Quindi la sua definizione di bellezza si lega alla relazione.

«Esatto. Avere rapporti umani veri. La bellezza è lì».