Intervista a Maurizio de Giovanni

"Napoli oltre i cliché"

di Ida Palisi

 

Dalle vedute di Monte di Dio fino agli interni liberty del Gambrinus, passando per i vicoli dei Quartieri Spagnoli e gli slarghi di Capodimonte: c’è Napoli in ogni romanzo di Maurizio de Giovanni, e lui non nasconde mai il legame tra la sua scrittura e la città. Con pochissime eccezioni, Napoli è sfondo e pretesto narrativo dei diversi filoni di romanzi per lo scrittore, che sia il Commissario Ricciardi negli anni ’30 o I Bastardi di Pizzofalcone e Mina Settembre in età contemporanea, fino alla città rarefatta e quasi invisibile dei libri sull’agente segreto Sara Morozzi, in testa alle classifiche con l’ultimo, “Sorelle. Una storia di Sara” (Nero Rizzoli). Sessantacinque anni, scrittore, sceneggiatore per il cinema, la televisione e il teatro, neo-presidente della Fondazione Premio Napoli, fan e opinionista della squadra campione d’Italia 2023, Maurizio de Giovanni è oggi uno degli autori più noti in Italia e all’estero e nessuno, meglio di lui, è capace di raccontare il capoluogo campano lontano dai cliché da cartolina. Una città fatta a strati, elegante e misera, sontuosa e desolata, dove, come in una piramide, tutto coesiste e si integra, dando vita a uno straordinario connubio che la rende una delle mete più famose del mondo.

 

De Giovanni, Napoli faceva parte del Grand Tour e qui venivano i rampolli d’Europa a formarsi. Se dovesse presentarla come meta imprescindibile per un turismo d’élite, come la proporrebbe?

«Napoli è una grande capitale del Sud del mondo: direi di venire a vederla con lo stesso spirito con cui si va ad Istanbul, Atene, San Paolo, Buenos Aires e non come una normale città italiana. Di guardarla sotto la dimensione di un tessuto economico e una struttura urbanistica diversi da tutti gli altri. Non con indulgenza, ma nemmeno con superficialità».

Cos’ha di tanto speciale? «È una città che nel 2025 compirà 2.500 anni, una metropoli che ha un porto e nasce dal mare. Non può non essere multiculturale e sedimentaria allo stesso tempo, custodire in sé tantissime culture che non esistono più nel loro luogo d’origine. Questo implica una sua unicità, ma anche la volontà di venire a scoprirla in tutte le sue sfaccettature».

 

Il turismo di massa esclude altri tipi di visitatori?
«Ma no! Napoli è una città adatta a tutti, così grande e con un’offerta tale da poter accogliere ogni fascia di turisti. Ha luoghi esclusivi, ristoranti stellati, hotel a 5 stelle. Allo stesso tempo chi vuole può venire con lo zainetto in spalla e spendere poche centinaia di euro alla settimana. Una cosa non esclude l’altra: in una città che confina con gli scavi di Pompei ed Ercolano, si estende fino a Sorrento e alle isole di Capri, Ischia e Procida, oggi c’è spazio per qualsiasi tipo di categoria di visitatori».

 

 

Esiste un’offerta culturale adeguata?
«Paradossalmente abbiamo il problema della concorrenza di noi stessi. In un posto dove si mangia così bene ovunque, c’è tanta natura e panorami bellissimi, diventa problematico fare una proposta culturale dello stesso livello, però quando puntiamo sui nostri linguaggi ne usciamo sempre vincenti. È quello che sto provando a fare anche con il premio Napoli, promuovendo la diffusione della lettura».

 

Al di là dei salotti e dei caffè storici come il Gambrinus che lei inserisce anche nella serie di Ricciardi, esiste una Napoli d’altri tempi che vale la pena riscoprire?
«Certo, la troviamo nella Galleria Umberto I e in quella Principe: quando le attraversi ti sembra di essere fuori dal tempo. E in centinaia di chiese, come Sant’Anna dei Lombardi che incanta sempre, o in certi palazzi come quello dello Spagnuolo alla Sanità o Palazzo Venezia ai Decumani, posti assolutamente straordinari come pure i musei di altissimo livello. E poi ci sono Napoli Sotterranea, la Pietrasanta con il Museo dell’Acqua, le diverse catacombe».

I suoi posti preferiti?
«Amo molto i Quartieri Spagnoli, c’è qualcosa di magico e mi sento a casa lì. E poi camminare per Sant’Anna dei Lombardi mi emoziona sempre come pure il Cimitero delle Fontanelle, li consiglierei a tutti. E non perdo mai una sosta a largo Maria Teresa di Calcutta al Vomero per ammirare la vista di Napoli con il Vesuvio, Castel dell’Ovo e il mare».

 

Quale itinerario consiglierebbe per attraversarla?
«Partirei dai Camaldoli, perché Napoli è una città che si può fare in discesa e non è faticoso percorrerla. Da lì si può andare alla ricerca delle scale straordinarie che la tagliano fino al centro e ti portano via dalla contemporaneità, mentre dai suoi panorami si può vedere tutto e il contrario di tutto. La bellezza della città comprende le sue fragilità, le lesioni stratificate nel tempo, le infinite contaminazioni».

I suoi posti preferiti?
«Amo molto i Quartieri Spagnoli, c’è qualcosa di magico e mi sento a casa lì. E poi camminare per Sant’Anna dei Lombardi mi emoziona sempre come pure il Cimitero delle Fontanelle, li consiglierei a tutti. E non perdo mai una sosta a largo Maria Teresa di Calcutta al Vomero per ammirare la vista di Napoli con il Vesuvio, Castel dell’Ovo e il mare».

 

Quale itinerario consiglierebbe per attraversarla?
«Partirei dai Camaldoli, perché Napoli è una città che si può fare in discesa e non è faticoso percorrerla. Da lì si può andare alla ricerca delle scale straordinarie che la tagliano fino al centro e ti portano via dalla contemporaneità, mentre dai suoi panorami si può vedere tutto e il contrario di tutto. La bellezza della città comprende le sue fragilità, le lesioni stratificate nel tempo, le infinite contaminazioni».

 

 

E la collina del Vomero dove abita?
«Ho scelto di guardare dall’alto tutta la città: non ho voluto solo il mare, ma Napoli da guardare nel suo marasma di vie, di costruzioni, di stratificazioni».

 

La città piramidale che racconta nei suoi romanzi?
«Sì, qui c’è la narrazione popolare di Mina Settembre ma anche quella borghese e aristocratica del Commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone, fino ai segreti di un mondo riservato e che si muove secondo le sue traiettorie, nei libri di Sara. Una serie molto diversa dalle altre in cui c’è molta meno città ma si ritrova sempre l’aria di Napoli e la sua anima nera».

Esiste un’offerta culturale adeguata?
«Paradossalmente abbiamo il problema della concorrenza di noi stessi. In un posto dove si mangia così bene ovunque, c’è tanta natura e panorami bellissimi, diventa problematico fare una proposta culturale dello stesso livello, però quando puntiamo sui nostri linguaggi ne usciamo sempre vincenti. È quello che sto provando a fare anche con il premio Napoli, promuovendo la diffusione della lettura».